Interviste ad arte – Giovanna Lazzi, storica dell’arte e della miniatura, già direttrice della Biblioteca Riccardiana di Firenze
A cura di Alvaro Spagnesi
Nella sua radiosa casa di Viareggio mi accoglie Giovanna Lazzi per parlare della sua carriera di Storica dell’Arte e della Miniatura e dei suoi grandi contributi allo studio dell’illustrazione dei manoscritti decorati. Sia come responsabile della Sala Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze che in qualità di direttrice della Biblioteca Riccardiana sempre nel capoluogo toscano, Giovanna Lazzi ha messo al primo posto, a livello filologico e artistico, l’esaltazione di aspetti poco o per niente considerati dei preziosi libri antichi che aveva il compito di custodire e valorizzare facendoli conoscere a livello internazionale grazie alle sue numerose pubblicazioni di libri, cataloghi, articoli e alla partecipazione a convegni, seminari, conferenze. Di particolare importanza il suo intervento anche nella storia della moda, di valido aiuto per la ricostruzione di specifiche componenti della società antica e della datazione delle opere d’arte. Si è inoltre molto dedicata alla divulgazione attraverso incontri, conferenze, progetti atti a coinvolgere scuole, organizzazioni, gruppi di persone della più diversa estrazione sociale e culturale. Ha fatto parte di commissioni, comitati, associazioni. Nominata dal 2021 Accademico delle Arti del Disegno, continua anche la sua attività di critico d’arte contemporanea.
Cosa ti ha spinto verso la Storia della Miniatura dopo esserti laureata in Filosofia?
La prima laurea mi aveva portato a studiare il Quattrocento fiorentino e soprattutto il campo dell’astrologia. Mi è sembrato che le cosiddette “arti minori” fossero più consone ai miei studi precedenti e mi dedicai inizialmente allo studio della moda del Cinquecento. Quando però vinsi il concorso per la carriera direttiva nelle biblioteche e cominciai a lavorare al dipartimento manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze, mi sembrò opportuno dedicarmi prevalentemente allo studio della miniatura, senza tuttavia abbandonare completamente il campo della moda che mi piaceva molto. Tra l’altro avevo lavorato per il Museo del Costume di Palazzo Pitti e insegnavo in una prestigiosa accademia romana di moda con un corso di Storia del Costume. Gli studi sull’umanesimo sono stati, comunque, la base anche delle indagini sull’iconografia a cui mi sono dedicata in tempi più recenti.
Quali sono le scoperte che più ti hanno emozionato quando lavoravi alla Biblioteca Nazionale di Firenze e quale ritieni sia il catalogo di manoscritti più importante a cui hai contribuito?
Il catalogo più importante è sicuramente quello dei manoscritti del Fondo Landau Finaly, una collezione di estremo interesse per varietà e qualità che vanta, tra l’altro uno, dei due volumi del così detto “Offiziolo Visconti”, esemplare meraviglioso di miniatura lombarda di cui la biblioteca possiede anche l’altro volume. Nel 1994 ho pubblicato quindici disegni inediti di Giuseppe Zocchi per illustrare le Metamorfosi di Ovidio, rinvenuti all’interno di una legatura durante una ricognizione delle opere del poeta, poi sfociata in una mostra e un convegno. Un ritrovamento emozionante e inaspettato, quasi un piccolo giallo!
Come direttrice della Riccardiana come hai sfruttato al meglio le tue competenze specifiche in storia dell’arte?
Ho privilegiato la catalogazione sistematica dell’importante fondo di manoscritti di cui sono usciti quattro volumi nella Collana ministeriale Indici e Cataloghi, disponibili anche in rete. Sono infatti convinta che la conoscenza del patrimonio sia la base della conservazione, che mi sta particolarmente a cuore essendomi occupata a lungo di restauro. Le numerose mostre non solo hanno permesso alla biblioteca di porsi all’attenzione di un pubblico anche molto vario e eterogeneo, ma, attraverso i cataloghi che sempre hanno accompagnato le esposizioni, ci hanno “obbligato” a studiare in modo più approfondito un notevole numero di codici, soprattutto gli esemplari decorati. Grazie alla mia specifica competenza ho potuto, così, mettere insieme vari gruppi di lavoro, in collaborazione con l’Università e con varie istituzioni. Inoltre, ho cercato di integrare la biblioteca nel tessuto di Palazzo Medici, come era storicamente dovuto, attraverso itinerari di visite, ricerche in collaborazione con la Provincia di Firenze, responsabile del palazzo prima dell’attuale Città metropolitana, con la Prefettura e altre istituzioni cittadine. Un’esperienza davvero molto bella e interessante non solo a livello scientifico, visto che abbiamo precisato varie situazioni “riccardiane”, ma anche a livello umano per la risposta entusiastica del pubblico.
Allo studio della moda hai dedicato parecchi tuoi contributi, così come ad aspetti particolari della miniatura, di cui prima si sapeva molto poco, pubblicando disegni, xilografie.
Affrontando il complesso problema del rapporto tra testo e immagine ho dovuto di necessità approfondire l’indagine iconografica. Sono stata molto facilitata dai miei precedenti studi filosofico-letterari e dalla conoscenza della storia della moda. Negli ultimi anni ho anche indagato l’affascinante mondo dell’illustrazione a stampa nelle edizioni del tardo Quattrocento, di cui ho dato conto in varie occasioni di mostre e convegni, collegandole non solo alla tradizione della decorazione miniata ma anche alle indubbie parentele con la pittura che diventa fonte di ispirazione se non addirittura trasposizione di modelli. Del resto, proprio la divulgazione tramite la stampa consente la circolazione su vasta scala di dipinti di autori famosi. Basta pensare a Raffaello!
Un tuo giudizio sul lavoro come critico d’arte contemporanea?
Parlando di arte contemporanea siamo sicuramente facilitati dal contatto e dalla conoscenza diretta con l’artista, da cui scaturiscono incontri, colloqui e anche dibattiti. Ricordo con piacere gli incontri tra gli altri con Luca Alinari, Piero Gilardi, Omar Ronda, tutti scomparsi, purtroppo. Ho cercato anche nei contemporanei il filo del rapporto con le nostre radici culturali, persino nella ribellione e nella protesta, sentimenti e ideali spesso comuni agli artisti, pur nel mutare dei tempi e delle maniere.
A cura di Alvaro Spagnesi
Nella sua radiosa casa di Viareggio mi accoglie Giovanna Lazzi per parlare della sua carriera di Storica dell’Arte e della Miniatura e dei suoi grandi contributi allo studio dell’illustrazione dei manoscritti decorati. Sia come responsabile della Sala Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze che in qualità di direttrice della Biblioteca Riccardiana sempre nel capoluogo toscano, Giovanna Lazzi ha messo al primo posto, a livello filologico e artistico, l’esaltazione di aspetti poco o per niente considerati dei preziosi libri antichi che aveva il compito di custodire e valorizzare facendoli conoscere a livello internazionale grazie alle sue numerose pubblicazioni di libri, cataloghi, articoli e alla partecipazione a convegni, seminari, conferenze. Di particolare importanza il suo intervento anche nella storia della moda, di valido aiuto per la ricostruzione di specifiche componenti della società antica e della datazione delle opere d’arte. Si è inoltre molto dedicata alla divulgazione attraverso incontri, conferenze, progetti atti a coinvolgere scuole, organizzazioni, gruppi di persone della più diversa estrazione sociale e culturale. Ha fatto parte di commissioni, comitati, associazioni. Nominata dal 2021 Accademico delle Arti del Disegno, continua anche la sua attività di critico d’arte contemporanea.
Cosa ti ha spinto verso la Storia della Miniatura dopo esserti laureata in Filosofia?
La prima laurea mi aveva portato a studiare il Quattrocento fiorentino e soprattutto il campo dell’astrologia. Mi è sembrato che le cosiddette “arti minori” fossero più consone ai miei studi precedenti e mi dedicai inizialmente allo studio della moda del Cinquecento. Quando però vinsi il concorso per la carriera direttiva nelle biblioteche e cominciai a lavorare al dipartimento manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze, mi sembrò opportuno dedicarmi prevalentemente allo studio della miniatura, senza tuttavia abbandonare completamente il campo della moda che mi piaceva molto. Tra l’altro avevo lavorato per il Museo del Costume di Palazzo Pitti e insegnavo in una prestigiosa accademia romana di moda con un corso di Storia del Costume. Gli studi sull’umanesimo sono stati, comunque, la base anche delle indagini sull’iconografia a cui mi sono dedicata in tempi più recenti.
Quali sono le scoperte che più ti hanno emozionato quando lavoravi alla Biblioteca Nazionale di Firenze e quale ritieni sia il catalogo di manoscritti più importante a cui hai contribuito?
Il catalogo più importante è sicuramente quello dei manoscritti del Fondo Landau Finaly, una collezione di estremo interesse per varietà e qualità che vanta, tra l’altro uno, dei due volumi del così detto “Offiziolo Visconti”, esemplare meraviglioso di miniatura lombarda di cui la biblioteca possiede anche l’altro volume. Nel 1994 ho pubblicato quindici disegni inediti di Giuseppe Zocchi per illustrare le Metamorfosi di Ovidio, rinvenuti all’interno di una legatura durante una ricognizione delle opere del poeta, poi sfociata in una mostra e un convegno. Un ritrovamento emozionante e inaspettato, quasi un piccolo giallo!
Come direttrice della Riccardiana come hai sfruttato al meglio le tue competenze specifiche in storia dell’arte?
Ho privilegiato la catalogazione sistematica dell’importante fondo di manoscritti di cui sono usciti quattro volumi nella Collana ministeriale Indici e Cataloghi, disponibili anche in rete. Sono infatti convinta che la conoscenza del patrimonio sia la base della conservazione, che mi sta particolarmente a cuore essendomi occupata a lungo di restauro. Le numerose mostre non solo hanno permesso alla biblioteca di porsi all’attenzione di un pubblico anche molto vario e eterogeneo, ma, attraverso i cataloghi che sempre hanno accompagnato le esposizioni, ci hanno “obbligato” a studiare in modo più approfondito un notevole numero di codici, soprattutto gli esemplari decorati. Grazie alla mia specifica competenza ho potuto, così, mettere insieme vari gruppi di lavoro, in collaborazione con l’Università e con varie istituzioni. Inoltre, ho cercato di integrare la biblioteca nel tessuto di Palazzo Medici, come era storicamente dovuto, attraverso itinerari di visite, ricerche in collaborazione con la Provincia di Firenze, responsabile del palazzo prima dell’attuale Città metropolitana, con la Prefettura e altre istituzioni cittadine. Un’esperienza davvero molto bella e interessante non solo a livello scientifico, visto che abbiamo precisato varie situazioni “riccardiane”, ma anche a livello umano per la risposta entusiastica del pubblico.
Allo studio della moda hai dedicato parecchi tuoi contributi, così come ad aspetti particolari della miniatura, di cui prima si sapeva molto poco, pubblicando disegni, xilografie.
Affrontando il complesso problema del rapporto tra testo e immagine ho dovuto di necessità approfondire l’indagine iconografica. Sono stata molto facilitata dai miei precedenti studi filosofico-letterari e dalla conoscenza della storia della moda. Negli ultimi anni ho anche indagato l’affascinante mondo dell’illustrazione a stampa nelle edizioni del tardo Quattrocento, di cui ho dato conto in varie occasioni di mostre e convegni, collegandole non solo alla tradizione della decorazione miniata ma anche alle indubbie parentele con la pittura che diventa fonte di ispirazione se non addirittura trasposizione di modelli. Del resto, proprio la divulgazione tramite la stampa consente la circolazione su vasta scala di dipinti di autori famosi. Basta pensare a Raffaello!
Un tuo giudizio sul lavoro come critico d’arte contemporanea?
Parlando di arte contemporanea siamo sicuramente facilitati dal contatto e dalla conoscenza diretta con l’artista, da cui scaturiscono incontri, colloqui e anche dibattiti. Ricordo con piacere gli incontri tra gli altri con Luca Alinari, Piero Gilardi, Omar Ronda, tutti scomparsi, purtroppo. Ho cercato anche nei contemporanei il filo del rapporto con le nostre radici culturali, persino nella ribellione e nella protesta, sentimenti e ideali spesso comuni agli artisti, pur nel mutare dei tempi e delle maniere.


