Interviste ad arte - Alessandro Cecchi, direttore del Museo Casa Buonarroti
A cura di Alvaro Spagnesi
Mi trovo a Firenze, in via Ghibellina, in compagnia di Alessandro Cecchi, direttore del Museo Casa Buonarroti, uno degli storici dell’arte più esperti e qualificati sulle vicende del Medioevo e del Rinascimento fiorentini. Lo intervisto dandogli del “tu”, per via della nostra antica amicizia. Già curatore della pittura del Medioevo e primo Rinascimento agli Uffizi e poi direttore del Giardino di Boboli e della Galleria Palatina, con le sue ricerche documentarie e i suoi approfondimenti filologici, ha permesso l’identificazione degli autori di moltissime opere e delle dinamiche formali di eventi artistici mai debitamente studiati in precedenza, permettendo, in molti casi, una rilettura di passaggi fondamentali della storia dell’arte italiana. Passando dagli studi sulle “grottesche” vasariane nei corridoi degli Uffizi e di Palazzo Vecchio, in cui emergevano i contributi dei collaboratori dell’autore delle “Vite” ai suoi testi su Masaccio e Masolino, Botticelli e Bronzino, alle preziose scoperte sul Manierismo e su Palazzo Vecchio, fino alle vicende dell’Assedio di Firenze (1530) che coinvolsero anche Michelangelo, Alessandro Cecchi continua a regalarci visioni estremamente accurate dell’illustre patrimonio artistico di Firenze e di tutta l’arte italiana.
Direttore, nella mia breve introduzione, ho citato le “grottesche" di Marco da Faenza, della scuola di Giorgio Vasari, realizzate in Palazzo Vecchio, argomento della tua tesi di laurea con Mina Gregori nel 1976. Quali sono le peculiarità di queste decorazioni e quale la tecnica impiegata?
Le “grottesche” di Palazzo Vecchio sono derivate da quelle romane della scuola di Perin del Vaga. Marco Marchetti da Faenza è un po’ il Giovanni da Udine della scuola di Vasari, cioè lo specialista che in Palazzo Vecchio dà il meglio di sé con decorazioni che si segnalano per la freschezza, la fantasia, il capriccio. La tecnica è una pittura su intonaco lisciato, probabilmente anche con polvere di marmo, realizzata a tempera grassa, con pennellate fresche, veloci e immediate sulla superficie muraria.
Su Palazzo Vecchio il lavoro deve essere stato davvero imponente. Potresti riassumere le vicende che hanno portato alla realizzazione del saggio Palazzo Vecchio e i Medici?
Paola Barocchi commissionò a me e ad Ettore Allegri, amico e studioso ormai scomparso da diversi anni, una guida di Palazzo Vecchio. Andando in archivio, però, ci accorgemmo che praticamente il materiale documentario era tutto inedito perché nessuno l’aveva mai studiato sistematicamente. Ragione per cui, in un’epoca in cui non esistevano ancora i computer portatili come adesso, abbiamo lavorato per mesi e mesi, facendo una schedatura capillare che ancor oggi rimane una base per gli studiosi e che ha portato alla realizzazione del libro Palazzo Vecchio e i Medici (SPES 1980), punto di riferimento ancora per chi intenda affrontare questi argomenti. La decorazione di Palazzo Vecchio inizia nel 1554 quando Cosimo è libero dalle preoccupazioni della guerra di Siena. Siamo fortunati perché nell’Archivio di Stato fiorentino abbiamo tutta la documentazione completa dei pagamenti degli artisti che hanno lavorato a questo grande cantiere vasariano.
Come hai affrontato la sistemazione del Giardino di Boboli sia per la parte scultorea e architettonica che per quella arborea?
La direzione del Giardino di Boboli è stata un’esperienza importante nella mia carriera. Per uno storico dell’arte calarsi nella realtà del giardino storico che è stato il padre di tutti i giardini d’Europa e del mondo, che aveva e ha tuttora circa trecento sculture, è stato veramente impegnativo. Niente di questo enorme patrimonio era inventario e non c’era un catalogo probabilmente perché tali opere erano considerate arredo del giardino. Il mio compito come direttore è stato quello di far lavorare tutte le professionalità, potendoci avvalere di ottimi giardinieri che hanno operato per cercare di mantenere al meglio il patrimonio scultoreo. Un capitale enorme con tutti i problemi connessi a sculture che si trovano all’aperto e che quindi sono facilmente infestante da parassiti, muschi, muffe, etc. Comunque, la scelta di dirigere il Giardino di Boboli, dopo la mia attività come curatore della pittura del Medioevo e del primo Rinascimento agli Uffizi, la feci perché mi consentiva di continuare la ricerca in un altro settore, cioè quello di una committenza medicea poco studiata. Ho potuto così consultare e presentare tutti i documenti relativi alle specie arboree. Fina al Quattrocento c’era una grande passione per gli agrumi, piante come il cedro erano il vanto del giardino. A tutt’oggi Boboli richiede un grosso impegno, ma è veramente un posto magico.
Mettiamo a confronto Masaccio, Masolino e Botticelli, grandi del Rinascimento a cui ti sei maggiormente dedicato. Quale sono gli elementi fondamentali della loro opera che emergono dai tuoi studi e che in passato non sono stati abbastanza evidenziati?
Devo dire che un aspetto trascurato anche per la difficoltà della ricerca d’archivio è quello della committenza. Vasari, come altri storici dell’arte, non pone sufficiente attenzione a tale questione, per cui mentre i committenti spariscono, gli artisti rimangono. Ad esempio, la mia monografia su Masaccio è ancor oggi molto apprezzata proprio per lo studio sulla committenza. Il saggio su Masolino e Masaccio mi ha consentito di risalire al committente Pierangelo del Brutto, tessitore che forniva di tessuti Felice di Michele Brancacci. Dai documenti, la Sant’Anna Metterza, oggi agli Uffizi, risulta commissionata da questo artigiano che lavorava con i telai in casa, mentre l’altro grande committente è stato proprio Felice di Michele Brancacci. C’è poi il committente della Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella, Maestro di Murare con la moglie: anche in questo caso ho trovato dei documenti che hanno permesso di fare luce su questo capolavoro, su cui erano state fatte ipotesi prive di ogni fondamento. Invece, si è potuto stabilire che il committente si è fatto ritrarre fuori dall’edicola con la moglie. Si capisce, inoltre, che la visione prospettica dell’edicola l’ha fornita Brunelleschi, anche perché Maestro di Murare aveva lavorato alla cupola con Brunelleschi e quindi i due erano in contatto. Lo scheletro sotto la Trinità è collegabile all’antica entrata, vicino alla scena dipinta da Masaccio in corrispondenza di un cimitero e subito davanti si aveva un vero “memento mori”. La mia monografia su Botticelli, che agli Uffizi vanta il maggior numero di opere rispetto ad altri siti, nasce perché era un artista che, come responsabile della pittura medievale del primo Rinascimento della galleria fiorentina, avevo l’impegno di studiare. Faceva parte dei miei compiti istituzionali perché un curatore, oltre alla conservazione delle opere, deve approfondire anche la conoscenza degli artisti che gli vengono affidati. Questa monografia è ancor oggi ritenuta un punto di riferimento per chi studia Botticelli: ho conosciuto un borsista spagnolo che la tiene sul comodino.
Al Manierismo abbiamo accennato all’inizio: potresti darci un tuo schema che ne esplichi la singolarità?
Vasari utilizza termini come “maniere”, “in maniera”, “alla maniera di questi pittori” quali sinonimi di uno stile un po’ ricercato dei pittori fiorentini che, partendo da Michelangelo e poi avendo a disposizione artisti come Rosso Fiorentino, Pontormo e altri, hanno creato uno stile fantastico, capriccioso, fuori dalle regole del classicismo che pure era stato l’arte ufficiale anche della Firenze del primo Rinascimento e dei primi del Cinquecento. Questi artisti, che si esprimono in una maniera ricercata e capricciosa, ad un certo punto creano delle composizioni di nudi con pose artificiose, avendo come riferimento certamente opere come la Battaglia di Cascina di Michelangelo. L’allegoria, per esempio, è il tema dominante di tanti dipinti manieristi, come in Palazzo Vecchio con le allegorie degli dèi celesti e degli dèi terrestri di casa Medici. È una pittura celebrativa, artificiosa, colta, quella della “maniera”, che ha in Giorgio Vasari il suo protagonista.
Molto lungo è l’elenco delle tue conferenze in tutto il mondo, così come quello delle onorificenze ricevute, delle cariche istituzionali e dei riconoscimenti. Credo però che l’attuale ruolo di direttore del Museo Casa Buonarroti abbia per te un valore del tutto particolare…
La direzione di Casa Buonarroti è giunta mentre, dopo il mio pensionamento, mi ero già organizzato per portare avanti tante ricerche rimaste incompiute. È un onore per me dirigere questo museo così importante per la celebrazione di Michelangelo. Non è la casa del Buonarroti come solitamente si pensa, ma è la casa della celebrazione di Michelangelo perché il suo discendente omonimo, Michelangelo Buonarroti il Giovane, mostrò il palazzo proprio per celebrare l’antenato. È un museo “in progress”, al quale stiamo lavorando per aggiornarlo dal punto di vista della didattica, dell’informazione al pubblico, senza dimenticare che bisogna anche conservare, mantenere e valorizzare le opere della collezione. Il museo è nato dalla donazione di Cosimo Buonarroti, l’ultimo della famiglia, il quale ha bloccato il palazzo con tutto il suo prezioso contenuto, evitando la vendita e la dispersione delle raccolte. Tra i pezzi più importanti, i marmi giovanili di Michelangelo, la Battaglia di Cascina e la Madonna della Scala, ora esaltate da una nuova e importante sistemazione. Il museo si sta rinnovando grazie al lavoro incessante di una piccola equipe molto attiva di cui fanno parte le mie collaboratrici Elena e Marcella.
www.casabuonarroti.it
Didascalia della foto: da destra, Alessandro Cecchi, direttore del Museo di Casa Buonarroti con Marina Vincenti, restauratrice, Cristina Acidini, presidente della Fondazione Casa Buonarroti, e Simonetta Brandolini d’Adda presidente di Friends of Florence, in occasione del restauro nel 2022 della Madonna della Scala e della Battaglia dei Centauri.
A cura di Alvaro Spagnesi
Mi trovo a Firenze, in via Ghibellina, in compagnia di Alessandro Cecchi, direttore del Museo Casa Buonarroti, uno degli storici dell’arte più esperti e qualificati sulle vicende del Medioevo e del Rinascimento fiorentini. Lo intervisto dandogli del “tu”, per via della nostra antica amicizia. Già curatore della pittura del Medioevo e primo Rinascimento agli Uffizi e poi direttore del Giardino di Boboli e della Galleria Palatina, con le sue ricerche documentarie e i suoi approfondimenti filologici, ha permesso l’identificazione degli autori di moltissime opere e delle dinamiche formali di eventi artistici mai debitamente studiati in precedenza, permettendo, in molti casi, una rilettura di passaggi fondamentali della storia dell’arte italiana. Passando dagli studi sulle “grottesche” vasariane nei corridoi degli Uffizi e di Palazzo Vecchio, in cui emergevano i contributi dei collaboratori dell’autore delle “Vite” ai suoi testi su Masaccio e Masolino, Botticelli e Bronzino, alle preziose scoperte sul Manierismo e su Palazzo Vecchio, fino alle vicende dell’Assedio di Firenze (1530) che coinvolsero anche Michelangelo, Alessandro Cecchi continua a regalarci visioni estremamente accurate dell’illustre patrimonio artistico di Firenze e di tutta l’arte italiana.
Direttore, nella mia breve introduzione, ho citato le “grottesche" di Marco da Faenza, della scuola di Giorgio Vasari, realizzate in Palazzo Vecchio, argomento della tua tesi di laurea con Mina Gregori nel 1976. Quali sono le peculiarità di queste decorazioni e quale la tecnica impiegata?
Le “grottesche” di Palazzo Vecchio sono derivate da quelle romane della scuola di Perin del Vaga. Marco Marchetti da Faenza è un po’ il Giovanni da Udine della scuola di Vasari, cioè lo specialista che in Palazzo Vecchio dà il meglio di sé con decorazioni che si segnalano per la freschezza, la fantasia, il capriccio. La tecnica è una pittura su intonaco lisciato, probabilmente anche con polvere di marmo, realizzata a tempera grassa, con pennellate fresche, veloci e immediate sulla superficie muraria.
Su Palazzo Vecchio il lavoro deve essere stato davvero imponente. Potresti riassumere le vicende che hanno portato alla realizzazione del saggio Palazzo Vecchio e i Medici?
Paola Barocchi commissionò a me e ad Ettore Allegri, amico e studioso ormai scomparso da diversi anni, una guida di Palazzo Vecchio. Andando in archivio, però, ci accorgemmo che praticamente il materiale documentario era tutto inedito perché nessuno l’aveva mai studiato sistematicamente. Ragione per cui, in un’epoca in cui non esistevano ancora i computer portatili come adesso, abbiamo lavorato per mesi e mesi, facendo una schedatura capillare che ancor oggi rimane una base per gli studiosi e che ha portato alla realizzazione del libro Palazzo Vecchio e i Medici (SPES 1980), punto di riferimento ancora per chi intenda affrontare questi argomenti. La decorazione di Palazzo Vecchio inizia nel 1554 quando Cosimo è libero dalle preoccupazioni della guerra di Siena. Siamo fortunati perché nell’Archivio di Stato fiorentino abbiamo tutta la documentazione completa dei pagamenti degli artisti che hanno lavorato a questo grande cantiere vasariano.
Come hai affrontato la sistemazione del Giardino di Boboli sia per la parte scultorea e architettonica che per quella arborea?
La direzione del Giardino di Boboli è stata un’esperienza importante nella mia carriera. Per uno storico dell’arte calarsi nella realtà del giardino storico che è stato il padre di tutti i giardini d’Europa e del mondo, che aveva e ha tuttora circa trecento sculture, è stato veramente impegnativo. Niente di questo enorme patrimonio era inventario e non c’era un catalogo probabilmente perché tali opere erano considerate arredo del giardino. Il mio compito come direttore è stato quello di far lavorare tutte le professionalità, potendoci avvalere di ottimi giardinieri che hanno operato per cercare di mantenere al meglio il patrimonio scultoreo. Un capitale enorme con tutti i problemi connessi a sculture che si trovano all’aperto e che quindi sono facilmente infestante da parassiti, muschi, muffe, etc. Comunque, la scelta di dirigere il Giardino di Boboli, dopo la mia attività come curatore della pittura del Medioevo e del primo Rinascimento agli Uffizi, la feci perché mi consentiva di continuare la ricerca in un altro settore, cioè quello di una committenza medicea poco studiata. Ho potuto così consultare e presentare tutti i documenti relativi alle specie arboree. Fina al Quattrocento c’era una grande passione per gli agrumi, piante come il cedro erano il vanto del giardino. A tutt’oggi Boboli richiede un grosso impegno, ma è veramente un posto magico.
Mettiamo a confronto Masaccio, Masolino e Botticelli, grandi del Rinascimento a cui ti sei maggiormente dedicato. Quale sono gli elementi fondamentali della loro opera che emergono dai tuoi studi e che in passato non sono stati abbastanza evidenziati?
Devo dire che un aspetto trascurato anche per la difficoltà della ricerca d’archivio è quello della committenza. Vasari, come altri storici dell’arte, non pone sufficiente attenzione a tale questione, per cui mentre i committenti spariscono, gli artisti rimangono. Ad esempio, la mia monografia su Masaccio è ancor oggi molto apprezzata proprio per lo studio sulla committenza. Il saggio su Masolino e Masaccio mi ha consentito di risalire al committente Pierangelo del Brutto, tessitore che forniva di tessuti Felice di Michele Brancacci. Dai documenti, la Sant’Anna Metterza, oggi agli Uffizi, risulta commissionata da questo artigiano che lavorava con i telai in casa, mentre l’altro grande committente è stato proprio Felice di Michele Brancacci. C’è poi il committente della Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella, Maestro di Murare con la moglie: anche in questo caso ho trovato dei documenti che hanno permesso di fare luce su questo capolavoro, su cui erano state fatte ipotesi prive di ogni fondamento. Invece, si è potuto stabilire che il committente si è fatto ritrarre fuori dall’edicola con la moglie. Si capisce, inoltre, che la visione prospettica dell’edicola l’ha fornita Brunelleschi, anche perché Maestro di Murare aveva lavorato alla cupola con Brunelleschi e quindi i due erano in contatto. Lo scheletro sotto la Trinità è collegabile all’antica entrata, vicino alla scena dipinta da Masaccio in corrispondenza di un cimitero e subito davanti si aveva un vero “memento mori”. La mia monografia su Botticelli, che agli Uffizi vanta il maggior numero di opere rispetto ad altri siti, nasce perché era un artista che, come responsabile della pittura medievale del primo Rinascimento della galleria fiorentina, avevo l’impegno di studiare. Faceva parte dei miei compiti istituzionali perché un curatore, oltre alla conservazione delle opere, deve approfondire anche la conoscenza degli artisti che gli vengono affidati. Questa monografia è ancor oggi ritenuta un punto di riferimento per chi studia Botticelli: ho conosciuto un borsista spagnolo che la tiene sul comodino.
Al Manierismo abbiamo accennato all’inizio: potresti darci un tuo schema che ne esplichi la singolarità?
Vasari utilizza termini come “maniere”, “in maniera”, “alla maniera di questi pittori” quali sinonimi di uno stile un po’ ricercato dei pittori fiorentini che, partendo da Michelangelo e poi avendo a disposizione artisti come Rosso Fiorentino, Pontormo e altri, hanno creato uno stile fantastico, capriccioso, fuori dalle regole del classicismo che pure era stato l’arte ufficiale anche della Firenze del primo Rinascimento e dei primi del Cinquecento. Questi artisti, che si esprimono in una maniera ricercata e capricciosa, ad un certo punto creano delle composizioni di nudi con pose artificiose, avendo come riferimento certamente opere come la Battaglia di Cascina di Michelangelo. L’allegoria, per esempio, è il tema dominante di tanti dipinti manieristi, come in Palazzo Vecchio con le allegorie degli dèi celesti e degli dèi terrestri di casa Medici. È una pittura celebrativa, artificiosa, colta, quella della “maniera”, che ha in Giorgio Vasari il suo protagonista.
Molto lungo è l’elenco delle tue conferenze in tutto il mondo, così come quello delle onorificenze ricevute, delle cariche istituzionali e dei riconoscimenti. Credo però che l’attuale ruolo di direttore del Museo Casa Buonarroti abbia per te un valore del tutto particolare…
La direzione di Casa Buonarroti è giunta mentre, dopo il mio pensionamento, mi ero già organizzato per portare avanti tante ricerche rimaste incompiute. È un onore per me dirigere questo museo così importante per la celebrazione di Michelangelo. Non è la casa del Buonarroti come solitamente si pensa, ma è la casa della celebrazione di Michelangelo perché il suo discendente omonimo, Michelangelo Buonarroti il Giovane, mostrò il palazzo proprio per celebrare l’antenato. È un museo “in progress”, al quale stiamo lavorando per aggiornarlo dal punto di vista della didattica, dell’informazione al pubblico, senza dimenticare che bisogna anche conservare, mantenere e valorizzare le opere della collezione. Il museo è nato dalla donazione di Cosimo Buonarroti, l’ultimo della famiglia, il quale ha bloccato il palazzo con tutto il suo prezioso contenuto, evitando la vendita e la dispersione delle raccolte. Tra i pezzi più importanti, i marmi giovanili di Michelangelo, la Battaglia di Cascina e la Madonna della Scala, ora esaltate da una nuova e importante sistemazione. Il museo si sta rinnovando grazie al lavoro incessante di una piccola equipe molto attiva di cui fanno parte le mie collaboratrici Elena e Marcella.
www.casabuonarroti.it
Didascalia della foto: da destra, Alessandro Cecchi, direttore del Museo di Casa Buonarroti con Marina Vincenti, restauratrice, Cristina Acidini, presidente della Fondazione Casa Buonarroti, e Simonetta Brandolini d’Adda presidente di Friends of Florence, in occasione del restauro nel 2022 della Madonna della Scala e della Battaglia dei Centauri.


